Inno al Nilo
 
Lode a te, o Nilo, che esci dalla terra e giungi a sostentare l’Egitto: di natura misteriosa, tenebra di giorno.

Tu che irrighi le campagne; tu che Ra ha creato per sostentare tutto il bestiame. Tu che bagni il deserto, che è lontano dall’acqua; la sua rugiada è acqua che cade dal cielo.

 

Le origini di Roma secondo la leggenda

La storia della fondazione di Roma è avvolta nella leggenda ed è collegata con il più famoso dei miti greci: la guerra di Troia. Come narra Virgilio nell'Eneide, il troiano Enea, figlio di Anchise e della dea Venere, fuggì con il vecchio padre, il figlioletto Ascanio ed un pugno di uomini dalla città incendiata dagli achei e giunse, dopo numerose peripezie, alle coste del Lazio. Qui vinse e uccise in battaglia Turno, re dei rutuli e fondò una sua città che chiamò Lavinio, in onore della moglie, Lavinia, che aveva ottenuto da Latino, re del paese.

Ascanio (o Iulo) abbandonò la città paterna per fondare, sui Colli Albani, Albalonga, dove i suoi discendenti regnarono in pace per molte generazioni fino al re Proca. Alla sua morte, questo re lasciò due figli, il minore dei quali, Amulio, strappò al fratello maggiore, Numitore, il regno. Per impedire che Rea Silvia, unica figlia di Numitore, avesse una discendenza in grado di rivendicare il trono, Amulio costrinse la fanciulla alla castità come sacerdotessa della dea Vesta, ma non poté impedire che il dio Marte le facesse generare i gemelli Romolo e Remo.

Sdegnato e impaurito, Amulio condannò i nipoti ad una morte sicura, facendoli esporre, secondo la consuetudine, in un canestro lasciato sul Tevere in piena. Le acque del fiume però si ritirarono e i due neonati vennero allattati da una lupa finché, raccolti dal pastore Faustolo, crebbero con lui tra le greggi. Un giorno però i due fratelli scoprirono la loro origine e si vendicarono mettendo a morte Amulio e restaurando sul trono di Albalonga il nonno Numitore; poi decisero di fondare una loro città nel luogo in cui erano stati abbandonati alle acque.

Secondo i riti in uso presso gli etruschi, essi interrogarono gli dèi attraverso il volo degli uccelli per sapere chi dei due fosse destinato alla nuova fondazione e, ricevuto un responso ambiguo (Remo vide "per primo" sei avvoltoi, ma Romolo ne vide "dodici"), Romolo tracciò con l'aratro sul colle Palatino il solco quadrato che valeva come un confine sacro (21 aprile del 753 a.C.). Remo per derisione valicò il solco con un balzo, gesto che equivaleva ad un'invasione, e a Romolo non restò che ucciderlo per difendere il suo territorio.

Romolo diede asilo nella sua città a uomini di ogni provenienza e di ogni condizione, ma poiché mancavano le donne e i popoli vicini rifiutavano di imparentarsi con i romani, durante i solenni giochi che bandì in onore di Nettuno fece rapire le figlie dei sabini e poi sostenne contro di loro una guerra, sedata dall'intervento delle stesse donne sabine che convinsero i due popoli a condividere la cittadinanza; il potere venne così gestito in comune da Romolo e da Tito Tazio, che regnarono su sabini e latini ormai uniti. Morto il re sabino, Romolo rafforzò l'autonomia dell'Urbe sui popoli vicini, diede una costituzione civile e militare e quindi venne assunto in cielo e venerato con il nome di Quirino.

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