L’akh, raffigurato come un ibis, era una potenza soprannaturale, un elemento solare e luminoso che permetteva a ogni individuo di accedere alle stelle dopo la morte.
Il ka era una manifestazione delle energie vitali che ogni essere possiede.
Gli dei, data la potenza della loro natura, avevano vari ka.
Il ka era la forza che permetteva di sopravvivere dopo la morte e di riprendere un’esistenza nell’aldilà simile a quella che si era condotta sulla terra; a tal fine però il ka doveva essere continuamente alimentato affinchè conservasse la sua efficacia. Per questa ragione le statue racchiuse nel serdab ( struttura presente nelle tombe dell’Antico Egitto costituita da una camera destinata alla statua raffigurante il Ka del defunto), ricevevano cibo, bevande e fumigazioni, formule d’offerta indirizzate al ka del defunto.
Il ba è forse l’elemento che più si avvicina alla nostra concezione di anima. Raffigurato come un uccello a testa umana, questo era immortale e indipendente dal corpo; poteva infatti allontanarsi dal cadavere del defunto. Così lo vediamo raffigurato, per esempio, mentre vola intorno alla tomba, appollaiato su un albero o mentre si disseta in uno stagno.
Oltre a questi tre principi, vi erano l’ombra, un doppio immateriale che l’uomo assumeva nel corso della vita e il nome. Quest’ultimo era ritenuto un secondo io. Nominare una persona, anche se defunta, significava farla esistere; così le statue e le stele contenevano un insieme di precise indicazioni circa l’identità del defunto, in modo che il suo ka continuasse a godere nell’aldilà di tutti gli alimenti e le offerte dei vivi.