Roma, la più imponente e magica delle città, la capitale più bella e ricca di storia. Di notte, quando il silenzio avvolge le strade e la luna illumina gli angoli più reconditi...
… il fantasma di Beatrice si aggira nei dintorni di Palazzo Cenci, tornando a visitare le antiche stanze del palazzo, oppure, la sera dell’11 settembre, anniversario della sua decapitazione, la si può vedere passeggiare su Ponte S.Angelo con la testa sotto le braccia.E cosa dire di Mastro Titta?
Il suo vero nome Giovanni Battista Bugatti, in arte il “boia di Roma”. La sua carriera di incaricato delle esecuzioni delle condanne a morte, iniziò il 22 marzo 1796 e fino al 1864 totalizzò ben 516 “servizi” tra suppliziati e giustiziati.
Così racconta nelle, sue memorie, della prima esecuzone: “Esordii nella mia carriera di giustiziere di Sua Santità, impiccando e squartando a Foligno Nicola Gentilucci, un giovinotto che, tratto dalla gelosia, aveva ucciso prima un prete e il suo cocchiere, poi, costretto a buttarsi alla macchia, grassato due frati”.
E ancora:
“Confesso candidamente che di tutte le mie esecuzioni quelle che mi
sono andate meno a versi sono le esecuzioni sopra le donne. E questo non
per un manifesto spirito di pietà morbosa, o perché mi lasciassi in
qualsiasi modo dominare dalle attrattive muliebri. Gli è che io ho
sempre considerato la donna come un essere intellettualmente e
fisicamente inferiore all’uomo e mi disgustava di dover esercitare la
mia azione sopra tale inferiorità. Ma devo pur constatare che la donna,
che è pure sì gentile e graziosa creatura, talvolta eccede in ferocia
l’uomo stesso, segnatamente quando è invasa dalla passione.
In sull’esordire di maggio dell’anno 1802 fui chiamato ad Orvieto per
l’impiccagione di Agostina Paglialonga, condannata all’estremo supplizio
per aver barbaramente trucidato tre figli”.
Ebbene, immaginiamo la vita di quest’uomo, come potrebbe mai essere tranquilla la sua morte?
Infatti qualcuno lo ha visto passeggiare, alle prime luci dell’alba,
avvolto nel manto scarlatto da “lavoro” nei luoghi dove ha eseguito le
sentenze, ossia ai Cerchi (davanti la chiesa di S. Maria in Cosmedin),
al Popolo (Piazza del Popolo) e, soprattutto, al Ponte (piazza di ponte
S. Angelo), dove è possibile vederlo davanti un’antica abitazione sita
all’angolo tra Via Paola e Lungotevere degli Altoviti. Si dice anche
che, a volte, offra una presa di tabacco a colui che incontra.
Ricordiamo, che una presa di tabacco Mastro Titta la offriva ai condannati poco prima di essere giustiziati.
Figlio di Tarquinio Prisco, sposò prima Tullia Maggiore, la figlia maggiore di Servio Tullio, poi sposò la sorella di questa, Tullia Minore, con il cui aiuto organizzò la congiura per uccidere il suocero ed ascendere sul trono di Roma.
Ed è proprio in seguito a questo avvenimento che nasce la leggenda: “In una fredda notte d’inverno di alcuni anni fa ad un nottambulo capitò di vivere un’esperienza a dir poco inquietante: stava per imboccare la salita di S. Francesco di Paola, accanto a piazza San Pietro in Vincoli, quando gli sembrò di sentire un lamento provenire dalla piazza davanti a sé, poi silenzio.
Era appena entrato nella via, quando, questa volta alle spalle, sentì
senza ombra di dubbio il rumore di un carro che si avvicinava a tutta
velocità. Istintivamente si scansò, ma, benché il fragore lo superasse
per svanire in fondo alla via, non vide assolutamente nulla.
Ma non era ancora finita: di nuovo udì, proveniente sempre dal centro
della strada, il lamento di prima e poi, finalmente, tornò, profondo, il
silenzio.
A questo punto, chiunque se ne sarebbe andato in tutta fretta, ma non così fece il nostro nottambulo, il quale si avvicinò al luogo da dove era venuto il lamento e non vide nulla, solo una grande pozza d’acqua, in cui inavvertitamente mise i piedi. Tornato a casa, nel levarsi le scarpe, le vide tutte sporche di sangue.
Una possibile spiegazione: Via San Francesco di Paola corrisponde al Vicus scelestus (Vicolo scellerato), di epoca romana. La tradizione racconta che in quel luogo la moglie di Tarquinio il Superbo, Tullia, vide riverso in terra il corpo del padre, Servio Tullio, appena ucciso dal marito e in segno di odio e disprezzo, non placa di essere stata l’istigatrice della sua morte, lo travolse anche con il suo carro, sporcando le ruote e le vesti del sangue paterno.
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