Inno al Nilo
 
Lode a te, o Nilo, che esci dalla terra e giungi a sostentare l’Egitto: di natura misteriosa, tenebra di giorno.

Tu che irrighi le campagne; tu che Ra ha creato per sostentare tutto il bestiame. Tu che bagni il deserto, che è lontano dall’acqua; la sua rugiada è acqua che cade dal cielo.

 

Efesto


Sebbene considerato figlio di Zeus e di Era, i due dei maggiori, questo dio, probabilmente di origine asiatica, a cui i Romani diedero il nome di Vulcano, rimane una divinità in sott'ordine; zotico, brutto, sciancato, deriso da tutti, fu protagonista di avventure più o meno ridicole. In origine, come dio dei fuochi sotterranei, dei vulcani, del segreto fermento del sottosuolo, aveva una certa dignità e una certa imponenza. Ma, col tempo, altri dei finirono con l'invadere il suo regno: Poseidone divenne lo scuotitore della terra, ossia il dio dei terremoti, che sono conseguenza delle eruzioni vulcaniche; Zeus si impadronì dei fuochi celesti, ossia delle folgori. Cosi Efesto dovette accontentarsi di servirsi del fuoco per fare lavori di artigianato, i quali, per quanto ammirevoli, restavano pur sempre la creazione di un bravo operaio. E nulla più di un valente operaio lo considerarono i Greci. Le sue imprese più note sono lavori artigiani: fabbrica per Zeus le saette, per gli altri dei armi e oggetti vari, come il tridente di Poseidone e il cocchio di Elios, il Sole; si rassegna perfino a costruire armi per semplici mortali, come lo scudo di Achille. Rimane dunque un dio da povera gente che deve guadagnarsi il pane con la fatica delle proprie mani e che chiede a lui di assisterla nel lavoro. E questo è il suo carattere più commovente e più umano.

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