Inno al Nilo
 
Lode a te, o Nilo, che esci dalla terra e giungi a sostentare l’Egitto: di natura misteriosa, tenebra di giorno.

Tu che irrighi le campagne; tu che Ra ha creato per sostentare tutto il bestiame. Tu che bagni il deserto, che è lontano dall’acqua; la sua rugiada è acqua che cade dal cielo.

 

Il mito di Orione


I miti che si riferiscono ad Artèmide non sono molti e, in genere, tendono a mettere in luce il suo carattere fiero e schivo degli omaggi maschili, da lei considerati offese. Assai interessante è il mito di Orione, che viene raccontato in vario modo e che, nelle sue espressioni più recenti, sembra mostrare, nella fiera Artèmide, un lato molto umano.

Orione, dunque, era un giovane cacciatore di statura gigantesca e di origine divina, il quale vagava anche lui per monti e boschi in cerca di fiere. Avvenne un giorno che Artèmide, seguita dalle sue ninfe, si incontrò con lui, ma il bel gigante poco si curò di loro e passò oltre, cosa che, probabilmente, suscitò un certo disappunto in tutta quella graziosa schiera di fanciulle divine. E certo questo disappunto si mutò in sdegno quando si venne a sapere che Orione si era invaghito di una dea dolce e solitaria, Eos, ossia l'Aurora, dalle dita rosate, la quale aveva la sua dimora ai confini dell'orizzonte, tra le onde dell'oceano.

Tutti gli dèi erano adirati contro quel giovanotto che aveva osato alzare gli occhi su di una dea; ma più furiosa di tutti era Artèmide, tanto che si cominciò a sussurrare che, dietro quello sdegno, doveva esserci qualche altra cosa, magari una punta di gelosia. Tanto più che la vaga Eos non sembrava affatto scontenta della rispettosa passione da lei suscitata nel cuore di un mortale: spesso Orione si lanciava a nuoto nel mare, raggiungeva a grandi bracciate l'orizzonte e, giunto là, faceva lunghe chiacchierate con la dea dalla dita di rosa, che, da parte sua, lo ascoltava con evidente piacere.

Un giorno Artèmide si incontrò con il fratello sulla spiaggia dell'isola di Delo, e le due divinità presero a parlare del più e del meno, finchè Apollo, indicando qualche cosa che galleggiava sulle onde laggiù, all'orizzonte, invitò Artèmide a colpirla con una delle sue frecce per mostrargli se era ancora abile saettatrice come un tempo.

Rapida la dea tese il suo arco e lanciò nell'aria un dardo sottile che raggiunse il bersaglio. Poco dopo la corrente spingeva sulla spiaggia il corpo esanime di Orione con una freccia infissa fra le spalle. Apollo era ricorso a quell'astuzia per placare lo sdegno degli dèi e ridare la tranquillità alla piccola Eos e, forse, anche a sua sorella: perchè sapeva benissimo, che il bersaglio da lui indicato era la testa del bel cacciatore, a colloquio con l'Aurora. Ma lo sapeva anche Artèmide.

Orione fu poi assunto in cielo da Zeus e trasformato nella costellazione che porta ancora il suo nome.


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