Lo strumento di conoscenza per l’approccio ai segni con cui il volere divino si manifestava era la divinazione; un’arte che gli stessi dei avevano insegnato agli uomini e che poggiava sul fondamento teorico della corrispondenza tra mondo celeste e mondo terreno: il mondo degli dei e quello degli uomini.
All’interno di questo sistema, erano fondamentali la definizione e la partizione dello spazio celeste, sede degli dei. Lo spazio celeste era concepito come suddiviso in sedici parti, quattro per ognuno dei quadranti risultanti dall’ideale congiunzione dei quattro punti cardinali mediante due rette perpendicolari incrociantisi al centro.
Secondo la terminologia latina la retta nord-sud era chiamata cardo, quella est-ovest decumanus. Nelle sedici caselle erano collocate le sedi o dimore delle divinità, secondo un ordine che collocava gli dei superiori nelle regioni orientali del cielo; gli dei della terra e della natura verso mezzogiorno; quelli infernali e del fato nelle regioni d’occidente, considerato come il più nefasto.
Dal momento che nello spazio celeste si trovavano le sedi degli dei, il cielo era la fonte di informazione più autorevole e diretta. Esso costituiva quindi il primo e fondamentale ambito di osservazione per ogni pratica divinatoria. Tenendo infatti presente la ripartizione della volta celeste e la collocazione delle singole caselle, si poteva riconoscere, dalla posizione dei segni che si manifestavano in cielo o dal punto dal quale essi provenivano, a quale divinità fosse da riferire il singolo segno e se si trattasse di buono o cattivo auspicio. Il segno più frequente e dunque più osservato nel cielo era quello rappresentato dal fulmine.
Inno al Nilo
Lode a te, o Nilo, che esci dalla terra e giungi a
sostentare l’Egitto: di natura misteriosa, tenebra di giorno.
Tu che irrighi le campagne; tu che Ra ha creato per sostentare tutto il bestiame. Tu che bagni il deserto, che è lontano dall’acqua; la sua rugiada è acqua che cade dal cielo.
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