Inno al Nilo
 
Lode a te, o Nilo, che esci dalla terra e giungi a sostentare l’Egitto: di natura misteriosa, tenebra di giorno.

Tu che irrighi le campagne; tu che Ra ha creato per sostentare tutto il bestiame. Tu che bagni il deserto, che è lontano dall’acqua; la sua rugiada è acqua che cade dal cielo.

 

Il mito di Marsia e quello di Nìobe

Per quanto generoso, Apollo, al pari di tutti gli dèi, era molto severo con coloro che non gli rendevano il dovuto ossequio. E a questa severità si ricollegano due miti famosi, quello del sileno Marsia e quello della regina Nìobe.

I sileni erano piccole divinità boscherecce, al pari dei sàtiri, ma, a differenza di questi, che avevano orecchie, coda e piedi caprini, erano caratterizzati da orecchie, coda e talora piedi di cavallo.

A costoro apparteneva Marsia, un sileno della Frigia, al quale capitò la disgrazia di trovare il flauto gettato via da Atena, che lo aveva inventato.

Felice di essere diventato padrone di quello strumento, Marsia incominciò a suonarlo, e presto divenne così abile da osare sfidare a gara lo stesso Apollo, dio, oltre tutto, della musica e maestro di uno strumento assai più armonioso e sonoro, la cetra.

Apollo accolse la sfida, ma a un patto: che il vincitore avrebbe potuto fare del vinto tutto quello che avesse voluto; giudici furono le Nove muse e il re frigio Mida. Fatta la gara, le Muse dichiararono vincitore Apollo, come era inevitabile; solo Mida cercò di sostenere il sileno suo compatriota, ma Apollo lo punì imponendogli due lunghe orecchie d'asino.

Quanto al disgraziato Marsia, per castigarlo della sua presunzione lo scuoiò vivo appendendone poi, all'ingresso di una caverna, la pelle, che rabbrividiva ogni volta che qualcuno suonava il flauto in quei paraggi.


Non meno crudelmente fu punita Nìobe. Questa regina tebana, moglie del re Anfìone, aveva avuto sei maschi e sei femmine, e, nel suo orgoglio materno, si era dichiarata superiore a Leto, che aveva avuto solo due figli, Apollo e Artèmide.

Apollo volle punire quell'orgoglio offensivo per la madre sua e, aiutato dalla sorella, privò Nìobe di tutti i suoi figli saettando egli stesso i sei maschi che cacciavano sul monte Citerone, mentre Artèmide faceva altrettanto con le sei femmine nella reggia.



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